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Marzia Carocci, la voce ribelle della cultura fiorentina. Un’anima libera tra poesia e impegno, alla guida di un movimento che sfida convenzioni e salotti esclusivi

Da decenni si impegna nella promozione delle arti e della letteratura, contribuendo con passione alla vita culturale di Firenze. Marzia Carocci, poetessa, scrittrice e critico letterario, è l’ideatrice e presidente del Premio Artistico Letterario Ponte Vecchio, un concorso (qui il bando, che scade a giugno 2025) che celebra il talento in tutte le sue forme. Giunto alla sua decima edizione, il Premio ha visto negli anni la partecipazione di scrittori, poeti, pittori, fotografi e giornalisti, affermandosi come un appuntamento di rilievo nel panorama culturale fiorentino. La premiazione di quest’anno si terrà il 20 settembre al Teatro di Cestello e vedrà, come sempre, il conferimento del prestigioso Premio alla Carriera a personalità di spicco del mondo artistico. Un riconoscimento che, nel tempo, ha reso omaggio a figure di rilievo come Susanna Tamaro, Alessandro Benvenuti e Gianluigi Nuzzi.

Come è nata l’idea del Premio artistico letterario Ponte Vecchio e cosa rappresenta per te?
Prima di arrivare ad ideare un premio di questo spessore, sono stata giurata in tantissimi concorsi letterari, non solo a Firenze ma a Napoli, Roma, Arezzo, Cinecittà, Salerno e così via. Ho avuto diciamo, esperienza dietro le “quinte”. Essendo anche io poetessa e scrittrice, ho ragionato in ambe le modalità; da giurata e da concorrente. Ho visto difetti e pregi e ho cercato di prendere il meglio che potevo anche se credo che la perfezione sis una cosa irraggiungibile. Innanzi tutto ho pensato a scegliere una giuria qualificata nel proprio settore, una giuria che non fosse solamente formata da membri di Firenze e sopratutto che la giuria lavorasse in tutta autonomia con gli elaborati anonimi per non essere condizionati. Io stessa ho deciso dall’inizio di non partecipare alle valutazioni proprio per non essere di parte.

Hai dedicato la tua vita alla scrittura e alla promozione culturale. Cosa ti ha spinto a intraprendere questo percorso?
Mi fai una domanda apparentemente semplice ma di difficile risposta. Dovrei partire a parlare dei miei diari adolescenziali dove non smettevo mai di scrivere e confidare ogni mio tormento, gioia, paura, emozione. Ho iniziato con la poesia, spesso introspettiva, poi con racconti, articoli. Crescendo ho iniziato a lavorare alle recensioni, prefazioni, editing, correzioni di bozze, ho anche fatto da ghostwriter per alcuni scrittori conosciuti e pensa che lavoravo su una vecchia Olivetti. Mandavo i lavori svolti alle varie riviste del settore con raccomandata e ricevuta di ritorno. Non c’erano i computer. Tempo giurassico. L’amore ha fatto il resto. Ho pensato sempre che la cultura non è mai qualcosa di solo individuale ma patrimonio della collettività, altrimenti non esisterebbero scambi di idee e di crescita. Ho fatto parte di centri ricreativi dove si parlava di argomenti come l’arte. Salottini letterari, conferenze, perfino mediche ultimamente, certamente con l’apporto necessario di chi lavora in questo settore L’arte va amata in ogni sua forma. L’arte libera da catene e da pregiudizi.
Con l’avvento dei social è stato più facile costruire una tela di amicizie che volevano la stessa cosa. Nasce così inizialmente il gruppo su Facebook “Autori e amici di Marzia Carocci”. Inizio a chiedere amicizie a pittori, poeti, scultori, scrittori, fotografi, musicisti e così via. Ho iniziato ad ideare e organizzare poi eventi nel territorio fiorentino, ma con mia sorpresa agli incontri venivano artisti dalla Lombardia, Lazio, Emilia, Veneto, Campania, Sicilia, Umbria, Liguria e questo accadeva ogni volta che organizzavo un incontro artistico. Da considerare che non ho mai chiesto denaro per le partecipazioni e che i primi anni, quando non era stata creata l’Associazione Autori e amici di Marzia Carocci (stesso nome del gruppo social), pagavo interamente di tasca mia i teatri, i circoli, le stanze e tutto ciò che poteva servire per incontrarsi. Un giorno, durante un evento con quasi 100 persone provenienti da tutta Italia, il mio amico Fabio e l’amica Annamaria hanno preso il microfono e detto al pubblico che da quel momento nasceva la nostra associazione. Chi voleva aderite poteva iniziare a farlo. S’iscrissero quasi tutti. Pochi giorni è stato tutto regolarizzato all’Agenzia delle Entrate che ci ha fornito lo Statuto con i vari regolamenti. Il prossimo anno facciamo 10 anni da quel giorno.

Sei anche editore e curi collane editoriali. Qual è la tua visione del mondo dell’editoria oggi?
La casa editrice nasce sotto l’associazione stessa. Ho dovuto iscrivermi come editore per avere tutte le carte in regola. Siamo già a oltre 100 pubblicazioni, il che vuole dire migliaia di copie. Colgo l’occasione una volta per tutte di dire pubblicamente che il mio lavoro è completamente a favore della casa editrice stessa. Anche i miei collaboratori danno supporto gratuito. Siamo una no profit il che vuol dire che tutti i proventi servono solo a dare “benzina” alla macchina dell’associazione. Mi chiedi cosa è il mondo dell’editoria oggi? Ci sarebbe da parlare per ore. Chi pubblica deve sapere come funziona il tutto visto che molti esigono di pubblicare gratuitamente. Ricordo che il codice ISBN ha un costo, i lavori di grafica, di stampa, di spedizione dovrebbero essere a carico di chi? Certo che una major non ha problemi perché ha sponsor e un lavoro di marketing che gli permette di muoversi in un campo protetto, differentemente da una piccola casa editrice che ha solo spese. Siamo inoltre in un periodo storico dove tutti scrivono e pochi acquistano, ciò rende immobile e stantia una pubblicazione. Ci vorrebbero autori che puntino sulla pubblicità, su tante presentazioni. Adesso è il mondo dei social; chi è più preparato può usare anche questo metodo per stimolare le vendite. Non è facile. Tutto è cambiato in questo ultimo ventennio.

Sei nata ad Arezzo, ma Firenze è la città in cui vivi e lavori. Che rapporto hai con la città e quanto ha influenzato il tuo percorso artistico?
Adesso sarò antipatica, polemica e risentita. Amo però la sincerità e quindi non indorerò la pillola. Si sono nata ad Arezzo ma a sei anni sono venuta a Firenze. Era il lontano 1966. Firenze è una città stupenda, di grande storia, di enorme valore artistico e per me non ha eguali ma, mi perdonino i campanilisti, l’ho trovata fredda e ruffiana. La mia lunghissima esperienza (39 anni) nel campo culturale non è mai stata considerata nei “quartieri alti” dove funziona solo il salottino buono, il nome eclatante, la politica, il favoritismo e l’opportunismo. Ho sempre fatto da sola con grandi difficoltà. Non ho mai chiesto favoritismi di alcun genere nonostante abbia portato tanto anche a livello economico. La gente che viene da fuori prenota stanze, prende treni, pranza e cena nei ristoranti fiorentini, dorme negli alberghi, spende in città. A me, presentare qualcosa in un Teatro o in una sala condominiale ,fa poca differenza. E’ il contesto che è importante, il calore, la condivisione artistica, l’essere tutt’uno anche con chi ha un modo differente di vedere l’arte. Ai miei incontri non vengono solo i soci, ma tutti coloro che vogliono vivere del bello, dell’interessante, dell’amicizia e del rispetto. Ho avuto eventi con 5 persone e eventi con 150 e più persone. Mi sono comportata nelle stesso modo e, se lo dico pubblicamente in questa intervista, è perché so che non posso essere smentita.

Quali sono le difficoltà che hai incontrato nel portare avanti iniziative culturali qui?
Credo di averti risposto ampiamente nella domanda precedente. Non sono capace di farmi amare chiedendo favori. Non lo sono mai stata. Eppure ho avuto anche grandi nomi dello spettacolo ai miei eventi. Anche per l’attività di giornalista freelance per la Freelance International \press ho intervistato personaggi conosciuti come Sergio Muniz, Mariella Nava, Giovanna Nocetti, lo scrittore Giuttari, il regista Francesco Branchetti, Corinne Clery, Denny Mendez, Massimo Lugli, Matilde Brandi, e tanti altri fra cantanti, scrittori, medici. Eppure Marzia Carocci a Firenze è più trasparente di un fantasma, ma forse questo è un bene.

C’è un luogo di Firenze che consideri particolarmente ispirante o significativo per il tuo percorso artistico?
Sono diversi anni che porto i miei eventi al Teatro di Cestello perché, a differenza di altri Teatri, lo trovo caldo, accogliente, semplice nella sua forza e le persone che lo gestiscono sono dello stesso carattere dell’ambiente. Lì dentro mi sento un po’ a casa mia. Zona San Frediano poi mi è cara. Mio padre e mia nonna abitavano in zona e questo a volte me li fa sentire ancora vicini.

Quali sono, secondo te, i punti di forza e di debolezza della scena culturale fiorentina oggi?
I punti di forza sono la quantità di artisti che Firenze contiene, di ogni genere: dai Madonnari di strada ai grandi nomi. Spesso però, e qui torna il mio modo di pensare, tanti artisti eccelsi non sono ancora emersi come nome. Questo forse perché c’è l’abitudine del riferimento ai soliti noti. Firenze ha avuto piuttosto tardi un Assessore alla cultura e questo può, in qualche modo avere rallentato alcuni processi evolutivi per l’arte e la cultura in genere. Ci vogliono idee nuove. La poesia in piazza, gli spazi più accessibili, la collaborazione del Comune verso chi dell’arte in generis e ne fa movimento artistico e non il salottino buono di certi ambienti, dove si entra imbellettati, dove si guarda come si è vestito tizio o caio, dove ci si pavoneggia e non si conosce niente della letteratura, della storia dell’arte, della conoscenza. Amo quei posti dove la gente porta se stessa leggendo un testo e magari si emoziona e ci piange. Dove il pittore ci spiega il suo occhio interiore, dove il cantante fa una stecca ma sa emozionare comunque. Vorrei una Firenze dove ci sia spazio per vivere le emozioni e dove lo scambio diventi bagaglio culturale per l’altro. Ho chiesto per anni uno spazio dove poter gestire in modo totalmente gratuito momenti di lettura, di pittura, di musica, di ascolto. Basterebbe una stanza di sei metri per sei. La faremmo diventare grande come l’oceano.

Se potessi cambiare qualcosa nel modo in cui Firenze promuove la cultura, cosa faresti?
Si fanno bandi per le associazioni spesso inutili o solo per i soliti noti. A Firenze direi “Principessa, scendi dalla cattedra e vai in mezzo alla gente che ha voglia di rinnovarsi e rinnovare l’arte in genere”. C’è tanta bellezza ancora da scoprire!

Hai progetti futuri di cui ci puoi parlare?
Progetti tantissimi. Il primo è la ricerca di uno spazio fisso dove avere scambi culturali, poi continuare con le conferenze, gli incontri artistici come quello che ci sarà il 17 maggio al Cestello dalle ore 15. Saremo al trentesimo incontro nazionale artisti. Poi, ovviamente, continuare con il Premio Artistico Letterario Ponte Vecchio, che mi dà tanta soddisfazione. Tanti anni fa ho creato proprio un evento particolare al Teatro Borgioli: i poeti leggevano mentre dietro di loro, i pittori disegnavano e un musicista suonava. Da rifare! Poi penso che ho una certa età e che il tempo proprio non mi è di aiuto.

In un’epoca dominata dalla tecnologia e dai social media, quale credi sia il futuro della letteratura e della poesia?
La poesia regge, la letteratura anche, ma cosa è cambiato? La superficialità nell’ascolto e la comprensione dei testi. Troppe poesie scritte nei social a mio parere rovinano l’intensità del verso. Diventa freddo e spesso chi scrive vuole solo un like. Così come per la presentazione di alcuni brani dei propri libri. Stessa cosa. La gente spesso non comprende e critica oppure fanno troppi inutili complimenti anche quando sarebbe meglio non farli. La lealtà spesso s’incrina per leoni da tastiera, Non parliamo delle recensioni dei libri. Sono solo sinossi che stroncano il senso del libro oppure ne raccontano la storia. Non si fa. Non si fa mai!

L.W.

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