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Cenci di Carnevale: storia e ricetta originale di Pellegrino Artusi

Firenze, 24 febbraio 2025 – Con l’arrivo di giovedì grasso, il cuore del Carnevale, le vetrine delle pasticcerie di Firenze si riempiono dei dolci tipici della tradizione, come la schiacciata alla fiorentina e i cenci. I prezzi però sono alti, con rincari medi del 5% rispetto allo scorso anno. Un motivo in più per riscoprire il piacere di preparare questi dolci in casa, risparmiando e mantenendo viva la tradizione.

Se la schiacciata alla fiorentina può sembrare più complessa da realizzare, i cenci sono alla portata di tutti. Non tutti sanno che questi dolci, noti con nomi diversi in tutta Italia — come chiacchiere, frappe o bugie — a Firenze prendono il nome di cenci per la loro forma irregolare, simile a brandelli di stoffa.

Le origini antiche dei cenci

La storia dei cenci affonda le radici nell’Antica Roma, dove durante i Saturnali — feste popolari che ricordano il nostro Carnevale — si consumavano le frictilia, pezzi di pasta fritti nel grasso di maiale, distribuiti gratuitamente alla folla.

In epoca moderna, il successo dei cenci è legato al celebre gastronomo Pellegrino Artusi, che nella sua opera La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene scelse di utilizzare il termine toscano per definire questi dolci. Se Manzoni “sciacquò i panni in Arno” per rifinire I Promessi Sposi, Artusi fece altrettanto per il suo lessico gastronomico. Grazie alla scelta di Artusi, i cenci si diffusero anche fuori dalla Toscana all’inizio del Novecento.

La ricetta originale dei cenci di Pellegrino Artusi

Se volete preparare i cenci toscani secondo la ricetta tradizionale, seguite le indicazioni di Pellegrino Artusi, riportate alla voce 595 del suo celebre manuale.

Ingredienti:

  • 240 grammi di farina
  • 20 grammi di burro
  • 20 grammi di zucchero
  • 2 uova
  • 1 cucchiaiata di acquavite
  • 1 pizzico di sale

Procedimento:
«Fate con questi ingredienti una pasta piuttosto soda, lavoratela moltissimo con le mani e lasciatela un poco in riposo, infarinata e involtata in un canovaccio. Se vi riuscisse tenera, in modo da non poterla lavorare, aggiungete altra farina.

Tiratene una sfoglia della grossezza d’uno scudo e, con il coltello o con la rotellina a smerli, tagliatela a strisce lunghe un palmo circa e larghe due o tre dita.

Fate in codeste strisce qualche incisione per ripiegarle, intrecciarle o accartocciarle, affinché vadano in padella (ove l’unto — olio o lardo — deve galleggiare) con forme bizzarre.

Spolverizzatele con zucchero a velo quando non saranno più bollenti. Questa dose basta per farne un gran piatto. Se il pane lasciato in riposo avesse fatta la crosticina, tornatelo a lavorare».

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